Cornea e cheratoplastica

Le patologie della cornea: il cheratocono e la sua chirurgia

Un capitolo assai interessante di chirurgia corneale è quello che riguarda le alterazioni di curvatura o di trasparenza corneale. Una patologia discretamente diffusa è il cheratocono, una malattia del tessuto e delle cellule corneali che non sono geneticamente in grado di mantenere stabile nel tempo la struttura stessa della cornea: negli anni si crea un assottigliamento progressivo del tessuto (spesso circa mezzo millimetro) con uno sfiancamento centrale, che inizia di solito a farsi notare attorno ai 18-20 anni di età. Il cheratocono comporta un’alterazione della visione (astigmatismo irregolare) che se dapprima può essere corretto da una semplice lente esterna, proseguendo la sua degenerazione necessita di intervento chirurgico. Tempo fa, l’unico intervento possibile era un trapianto di cornea, sostituendo la cornea malata con un tessuto da donatore. Oggi sono invece possibili altri tipi di intervento meno invasivi, che permettono di ottenere ottimi risultati e di provvedere a una soluzione chirurgica senza attendere di giungere a uno stadio avanzato della malattia.

 

La cheratoplastica lamellare

Il limite maggiore nei trapianti per cheratocono e per altre patologie che interessano solo lo strato superficiale e medio della cornea è costituito dal sacrificio purtroppo inevitabile dello strato profondo corneale costituito da cellule perenni senza capacità di riprodursi. Tale strato, chiamato endoteliale, è l’ultima barriera che separa gli spazi interni dell’occhio dall’esterno ed è quello che garantisce la trasparenza del tessuto corneale. Una riduzione del numero di cellule che compongono questo strato al di là del numero minimo necessario porta inevitabilmente all’opacamento della cornea.

Un lembo corneale di donatore, come quello che viene innestato in un classico trapianto di cornea, subisce per forza di cose un trauma a livello dello strato endoteliale sia in fase preoperatoria che durante l’intervento, ma soprattutto viene depauperato di cellule dalle reazioni immunitarie postoperatorie e dai processi cicatriziali di guarigione. La sua riserva funzionale si riduce assai velocemente fino a stabilizzarsi ad un livello ancora buono ma che difficilmente garantisce una trasparenza della cornea trapiantata oltre 20-25 anni dall’intervento.

Il dover sostituire lo strato endoteliale con apertura del bulbo oculare comporta inoltre maggiori rischi chirurgici di infiammazione postoperatoria e anche un maggior rischio di rigetto, perché è proprio lo strato interno a contatto con i fluidi intraoculari quello che stimola le reazioni cellulari. Allo stesso modo i problemi dati da un trapianto a tutto spessore in termini di astigmatismo da non perfetto allineamento dei lembi e da alterazioni della cicatrice indotte dalla sutura portano alle maggiori complicanze di questa chirurgia per quel che riguarda il recupero visivo di pazienti esenti da altre patologie. Non ultimo le maggiori cause di astigmatismo postoperatorio sono legate ad un cattivo incastro proprio dello strato profondo.

Da molti anni si cerca di effettuare trapianti salvando lo strato più interno della cornea (cheratoplastiche lamellari manuali), ma per lo più i risultati risultano inferiori a quelli ottenuti con una cheratoplastica perforante.

 

La cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri

L’avere a disposizione un laser ad eccimeri con disponibilità di ampi diametri di ablazione non refrattiva già dal 1988 ha stimolato Cidiemme a sfruttarne le peculiari caratteristiche per creare un letto da lamellare e una faccia stromale di un lembo da impiantare con caratteristiche di levigatezza e di precisione tali da permettere una qualità ottica ottimale e in passato sconosciuta nelle cheratoplastiche lamellari. L’analoga esperienza della Scuola di Mestre e del gruppo di Buratto, ci ha poi spinto a continuare su questa strada.

L’idea iniziale era quella di sostituire la parte di cornea malata (in prima istanza non si era pensato al cheratocono ma solo ai casi di leucoma cicatriziale) con un bottone di cornea da donatore dello stesso diametro e spessore. L’evoluzione della tecnica è stata poi quella di trattare la patologia cheratoconica sostituendo la parte di cornea malata con una lamella di maggior spessore (per questo si parla di cheratoplastica lamellare a spessori differenziati) incastrandola in una tasca corneale creata sul fondo dello scavo effettuato con il laser. Il cheratocono infatti è una patologia (con basi ereditarie) per cui le cellule della cornea non riescono più a mantenere una struttura stabile del tessuto che si assottiglia e si sfianca progressivamente, portando ad alterazioni importanti della curvatura di questa prima lente dell’occhio. Dapprima è colpita la zona più superficiale della cornea, poi l’interessamento del tessuto corneale si fa sempre più profondo. In stadi iniziali si può ricorrere agli occhiali, poi inizia ad essere necessaria una lente a contatto, infine neppure la lente a contatto riesce più ad essere tollerata ed è necessario ricorrere alla chirurgia.

Le tecniche chirurgiche possono essere diverse, comune è il concetto di regolarizzare la tettonica corneale e bloccare la malattia con la sostituzione o l’aggiunta di tessuto sano. Altre tecniche, in studio, prevedono di regolarizzare almeno parzialmente la curvatura della cornea con l’innesto di spessori in materiale plastico o con un’ablazione dell’apice del cono, al solo scopo di rinviare la necessità del trapianto di cornea. Importante è valutare il momento migliore per operare perché ad esempio conviene anticipare l’intervento (anche in casi che tollerano bene la lente a contatto) se si nota una tendenza all’evoluzione rapida del cheratocono.

Molto interessante è una tecnica messa a punto proprio dai nostri chirurghi, che consiste nel trattare addirittura la cornea in modo refrattivo con i programmi personalizzati in modo da eliminare il cono e regolarizzare la superficie corneale: ciò crea un letto ottimale e levigato sul quale innestare un lenticolo ottenuto anch’esso con il laser.

La cheratoplastica lamellare con il laser si svolge in tre fasi.

1) Dapprima si crea uno scavo di 150 – 250 micron sulla cornea del paziente con il laser ad eccimeri. Si possono utilizzare varie maschere per creare scavi della forma e della posizione voluta per cercare di ottenere la copertura più adeguata della zona del cheratocono oppure eliminare il cono con un’ablazione linkata su base aberrometrica. La superficie ottenuta con il laser ha caratteristiche di estrema levigatezza e precisione dei margini.

2) In una seconda fase si crea con un piccolo tagliente una tasca per 360° sul fondo dello scavo effettuato.

3) Infine si posiziona il lenticolo (ottenuto da una cornea di donatore o con microcheratomo o con una lavorazione sempre con il laser in modo che abbia uno spessore di circa 350-450 micron) all’interno della tasca e lo si sutura controllando che la tensione dei punti sia regolare e che non dia astigmatismo.

I vantaggi di questa tecnica sono soprattutto la conservazione di un intatto patrimonio endoteliale (che è lo strato di cellule interne della cornea, fondamentale per la conservazione della trasparenza e che ha la caratteristica di non riprodursi per cui il numero di cellule presenti alla nascita deve bastare per tutta la vita), una assenza di reazioni di rigetto, possibilità di cambiare facilmente il lenticolo qualora ci fossero dei problemi di attecchimento, possibilità di operare ambulatorialmente con solo anestesia di superficie e possibilità di correggere eventuali astigmatismi o difetti refrattivi in un secondo tempo con il laser.

Non ultimo non viene assolutamente preclusa la possibilità di un eventuale intervento di trapianto a tutto spessore. I risultati dipendono dalla qualità dell’interfaccia tra cornea e lenticolo che se non perfetta provoca una calo della capacità visiva rispetto all’ottimale o da eventuali astigmatismi elevati che se irregolari hanno una difficile soluzione chirurgica con il laser. Tali problemi però sono o comuni a un trapianto perforante (l’astigmatismo) e comunque sono di più facile gestione rispetto alle complicanze assai più gravi che può avere il trapianto.

Da pochi mesi Cidiemme fa parte di un gruppo di studio della SITRAC (Società Italiana Trapianti di Cornea) costituito per valutare l’efficacia di tutte le tecniche di cheratoplastica lamellare, unendo le casistiche e l’esperienza dei chirurghi che in Italia si occupano di questa chirurgia.

 

La cheratoplastica lamellare profonda

Solo recentemente la tecnica microchirurgica ci ha permesso di eseguire delle vere cheratoplastiche lamellari profonde. È oggi possibile infatti giungere alla sostituzione del tessuto corneale lasciando in sede solo il foglietto più profondo (descemet) che come una pellicola plastica separa l’endotelio dal tessuto centrale corneale (stroma). Tale foglietto è liscio e può aderire perfettamente e senza irregolarità al nuovo tessuto corneale che viene innestato.

I vantaggi sono notevoli: risparmio dell’endotelio del ricevente migliore nei cheratoconi rispetto al tessuto del donatore, assenza di reazioni di rigetto, riduzione dei problemi di astigmatismo e del decorso postoperatorio.

L’intervento non è facile da eseguire: a volte non si riesce a sezionare in maniera perfetta tale strato profondo e si è costretti ad eseguire un trapianto tradizionale (senza alcun problema in più rispetto ad un trapianto già programmato come tale). Inoltre l’intervento non è eseguibile ambulatorialmente in anestesia topica come la cheratoplastica lamellare laser.

Tutti i maggiori chirurghi che si occupano di trapianti di cornea stanno iniziando ad applicare la tecnica della lamellare profonda e sicuramente si riuscirà nel breve periodo a ottimizzarne i risultati dato che tutti gli interventi programmati come trapianto perforante per cheratocono o altre patologie non profonde possono prestarsi allo scopo senza problemi. Tale tecnica oggi inoltre non mira a sostituire la cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri – che sicuramente ha una sicurezza di risultato assai maggiore – ma può sostituire il trapianto perforante nei casi non ben operabili con il laser o ancora applicarsi a quei casi che con il laser non hanno avuto un buon risultato causa di una progressione del cheratocono.

 

La cheratoprotesi

Esiste la possibilità di ricorrere a una cornea artificiale? Certamente, ma il suo utilizzo non è privo di complessità.

La cornea è infatti un tessuto trasparente che per rimanere tale ha bisogno dell’integrità di diverse sue componenti. Quando si opacizza in modo irreversibile si può cambiare con una cornea da donatore. Non sempre però il trapianto attecchisce e il tessuto trapiantato può diventare anch’esso opaco. Quando non ci sia speranza di far attecchire un trapianto l’ultima spiaggia è, a tutt’oggi, impiantare una cornea artificiale, cioè di materiale plastico.

Il problema è dato dal fatto che se mettiamo molto semplicemente una cornea di plastica al posto di quella naturale, l’occhio non l’accetta ed un po’ alla volta la rigetta. Per fargliela accettare si deve far integrare la lente di materiale plastico su un supporto che faccia da “filtro” verso il bulbo oculare. Il sistema che ha maggiori probabilità di successo è utilizzare una sottile lamina dentaria del paziente stesso (osteoodontocheratoprotesi).

Se ciò non fosse possibile (mancanza di denti idonei) si può utilizzare un tessuto di teflon che viene lasciato per qualche mese sotto la cute del paziente in modo che venga colonizzato da cellule compatibili (cheratoplastica di Pintucci).

ALTRI sistemI meno collaudatI prevedONO l’inserimento di una lente plastica all’interno della cornea malata e la successiva apertura di due pertugi per la visione (CHERATOPROTESI DI BOSTON, Alphacor®).

Pochissimi chirurghi in Italia (e anche nel mondo) hanno esperienza su questi tipi di impianti e Cidiemme vanta all’interno del suo staff alcuni di questi.